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Rubrica | Dietro le quinte, dal primo Acquedotto alla Lazio, ecco Baffo: "Nessuno mi chiama Claudio"

 23/10/2014 Letto 1092 volte

Categoria:    Serie A
Autore:   
Società:    SS LAZIO





Dopo le prime battute, leggermente più formali, i toni si rilassano, e nel corso della mezz’ora che ci dedica per l’intervista Claudio lascia fluire ricordi e pensieri attraverso il filtro della sua simpatia. Cinquantasei anni tra un paio di settimane –e auguri in anticipo vietati!-, la vita da dirigente di Claudio Di Palma va a braccetto con l’amicizia con la famiglia Chilelli e la nascita de L’Acquedotto calcio a 5, fino a sposarne gli attuali sviluppi con la SS Lazio. Nel corso della sua esperienza si è diviso tra prima squadra e giovanile, ma sono i ragazzi che continua ora a seguire. E che per primi ormai lo chiamano “baffo”.

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Che giocatore è stato Claudio Di Palma? …Meglio, è stato giocatore?
Beh, qualche calcio al pallone l’ho tirato. Calcio a 11 ovviamente, nella seconda categoria col vecchio Sales e poi al Torre Maura della prima categoria, che arrivò fino alla promozione. Non ero male come giocatore, mi piaceva molto ed ero pure portato… ma ai miei tempi non era semplice come ora, i genitori non avevano facile possibilità di accompagnare e seguire i figli sui campi. A livello agonistico ho praticato judo per tanti anni invece, ho disputato diversi campionati e sono stato presente anche in nazionale… qui ho fatto qualcosa per benino insomma.

E l’incontro col calcio a 5 quando è arrivato?
È stato tramite la famiglia Chilelli. Il padre di Daniele e Sandro era proprietario di un centro sportivo, ed io gli tenevo qualche campo la sera, inserendomi spesso da portiere quando alle squadre che giocavano mancava. Da qui si è sviluppato poi L’Acquedotto e la primissima iscrizione in serie D, dove io ero ancora portiere. La promozione in C2 è arrivata subito, poi la C1 attraverso i playoff. Qui abbiamo finito da secondi ad un punto di distanza dalla prima, e ancora siamo giunti in B via playoff, per disputarvi sette campionati. Al secondo anno, come portiere ho mollato, non era più il caso di continuare… ma nel doppio ruolo di giocatore e dirigente andavo avanti già dall’epoca della C1 seguendo il giovanile, in particolare gli allievi.

E a questo punto ti sei dedicato al solo lavoro organizzativo…
Sì, con L’Acquedotto in serie B mi dividevo tra prima squadra e giovanile, e di soddisfazioni ne sono arrivate tante. Tre anni fa arrivammo con la Juniores Elite in Final Eight Scudetto, quest’anno con la nuova maglia della Lazio giochiamo col tricolore sul petto e l'abbiamo onorato in Supercoppa. Juniores e U21 sono le categorie che ora con la Lazio seguo al PalaGems, nel solo giovanile.

Nella tua esperienza da dirigente, c’è stata una collaborazione di cui hai particolare ricordo affettivo?
Senza dubbio quella con Mario Berarducci e Bruno Ludovisi. Quest’anno Bruno non è con noi, non so se per questioni personali o scelte societarie, è una persona che non dimenticherò mai, che per me è stata e rimane il fratello che non ho mai avuto. Continuiamo a sentirci spesso...

Qualcuno di cui hai perso le tracce, si tratti di un dirigente o giocatore, e ti domandi che fine abbia fatto?
Questa è una bella domanda… Mi chiedo del destino di Alessio Immordino, un bravo giocatore purtroppo poco aiutato dalla testa. Credo attualmente sia andato al calcio a 11… quantomeno così mi è stato riferito da un amico ultimamente. Un gran peccato: piedi buoni davvero, montati però su una testa al rovescio.

C’è qualcuno o qualcosa che ti ha particolarmente ispirato o instradato nella tua attività dirigenziale?
Una persona che mi ha cambiato e che ha cambiato il mio modo di vedere e comportarmi a bordo campo è stata Felice Murrazzani, con noi per un paio di stagioni della B de L’Acquedotto. Nei miei primi anni di collaborazione non nero calmo come ora; Felice mi ha insegnato la professionalità. Anche lui poi si è allontanato dal calcio a 5, non so perché… ogni tanto lo chiamo ancora.

Una storia memorabile, da lasciare negli annali?
Aneddoti ovviamente ce ne sono tanti, ma questo forse è particolarmente divertente: tre anni fa, quando con la B de L’Acquedotto ci salvammo all’ultima giornata arrivando a questa gara dopo una stagione sul filo, il presidente ci fece un bel regalo. L’incontro era a Nuoro contro l’omonima formazione poi scomparsa e tra staff e tifosi riuscimmo, grazie al presidente, ad approdare in Sardegna almeno in cinquanta per assistervi. La partita fu memorabile: ci salvammo e fu festa grande. Avevamo il volo di ritorno la mattina successiva da Cagliari, quindi facemmo trecento chilometri da Nuoro in bus e andammo a cena. Ovviamente nello spirito goliardico della serata venne versato qualche bicchiere in più, e fu un proseguire senza sosta fino al mattino tra canzoni e risate. Non avevamo l’albergo prenotato, quindi finimmo a dormire e ridere sui sedili dell’aeroporto.

Un’ultima domanda, imprescindibile… il nomignolo “baffo” da quando ti segue?
Non sono nato con i baffi, ma quasi! –ride-. Li porto da tanto ormai, da quando ho iniziato a seguire i ragazzi. Sono stati Daniele e Sandro Chilelli ad iniziare a chiamarmi così ed ora è un soprannome che non m’abbandona più. Probabilmente nessuno o comunque pochi nel mondo del futsal conoscono o ricordano il mio vero nome. Tutti mi chiamano “baffo” ormai, anche i miei ragazzi. Per familiarità anche mia moglie deve sottostare al gioco, però lei è “’a baffetta”!

Emanuela Mannoni
*Foto Cantarelli



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