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Un sogno chiamato Real Fabrica: storie di una scuola calcio e di un paese

 01/09/2017 Letto 716 volte

Categoria:    Serie C2
Autore:    Ufficio Stampa
Società:    REAL FABRICA





Settembre portava con sé il caldo di un'estate pronta a mescolarsi con la poesia di un nuovo inizio.
Le strade di Fabrica sembravano pronte per essere invase dal giallo di quelle foglie che, giunte al termine del loro corso, si lasciavano cadere nell'oblio di un'avventura.
In un clima di apparente tranquillità, un tonfo ruppe il silenzio. Il bambino calciava un pallone ed il rumore di quel sorriso aveva il sapore di una felicità raggiunta. Mentre la sfera s'insaccava, pensava a quanto fosse faticoso doverla recuperare dopo ogni goal, a quanto sia bello poter calciare ancora, ed a quanto - volente o nolente - non ne possa fare a meno. 
Colpito dalla stanchezza, abbassava lo sguardo verso il petto, per bagnare i capelli che il sole stava cuocendo.
Il leggero movimento gli consentiva di posare gli occhi su una maglia che non avrebbe tolto mai.
I colori del cielo abitavano il cuore. Quella scritta: "Real Fabrica di Roma C5", custodiva ogni battito.
Nel rialzare la testa, vide che la figura geometrica formata dalle sue braccia, distese sul pallone che stava raccogliendo, assomigliava alla torre che lo aveva visto nascere. La torre del suo paese era sempre stata un'immagine di cui andava orgoglioso, e fu in quel momento che prese la decisione: un giorno sarebbe diventato il capitano della squadra di Fabrica e ne avrebbe difeso i suoi colori.
Immaginava il suo nome gridato dalla "Casa del Real."
"Realizzerò il mio sogno" - ripeteva, mentre ascoltava le parole del mister e correva verso l'infinito. Ma i sogni sono sanno diventare ostili, delle volte si trasformano in nemici da combattere ed un giorno - in seguito all'ennesima caduta - si chiese se ne sarebbe valsa la pena di rialzarsi ancora.
Un uomo sulla settantina, accortosi del problema che affliggeva il piccolo calciatore, chinò il capo per rincuorarlo.
- "Non sarò mai un campione", sospirò il bambino con un filo di voce.
L'anziano signore lo strinse al petto, e con un velo di emozione pensò che con quella maglia addosso sarebbe stato impossibile non tornare anch'egli fanciullo.
- "Vedi, ragazzo" - iniziò a dirgli - "il mondo appartiene a chi crede alla bellezza dei propri sogni. E se al tuo sogno ci credi davvero, non lasciare che una caduta in più possa scalfirlo. Cerca un motivo per cui lottare e trovalo nel battito del tuo cuore. Tu sei del Real Fabrica, ed essere del Real Fabrica significa, anzitutto, essere coraggiosi. Avere il coraggio di credere in ciò che si fa. Avere il coraggio di contrapporre le critiche al lavoro. Avere il coraggio di sognare e di emozionarsi in questo mondo apatico. Essere del Real Fabrica significa indossare un'identità, conoscere la propria storia e raccontarla al mondo intero. Significa amare oltre ogni risultato. Ed anche se le difficoltà tenteranno di abbatterti, non permettere mai che questo accada. Rialzati, pensa al tuo paese e continua a sorridere per un goal in più. Emozionati."
- "Non so se ci riuscirò." - disse sorridendo al mondo - "però una cosa importante l'ho capita."
- "Cosa?"
- "Quella fascia, prima o poi, la tatuerò sul braccio, assieme allo stemma della squadra che mi rappresenta."
- "E perché?"
- "Perché se un giorno dovessi dimenticarmi di essere felice, guardandola saprò ricordare un sogno. Un sogno chiamato Real Fabrica. Un sogno che non abbandonerò mai."
 

Alessio Campana
Ufficio Stampa Real Fabrica



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