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Rubrica | Beto, This is my Life: "La Sardegna è casa mia, e quell'aneddoto del palazzetto..."

 20/10/2014 Letto 1839 volte

Categoria:    Serie A
Autore:   
Società:    LIDO IL PIRATA SPERLONGA





Dopo Daniel Giasson è la volta di Beto Puhl. Il pivot del Città di Sestu traccia la sua breve autobiografia calcistica, a cominciare dal contesto in cui è nato e cresciuto, passando per il precoce approdo nel calcio professionistico e focalizzandosi sull'arrivo in Italia, sulle peripezie romane – rispetto alle quali l'esperienza napoletana, la prima nella massima serie, fa da spartiacque – e concentrandosi infine sul ritorno in A1 con la squadra di cui è egli stesso, assieme a Heder Rufine, un pilastro da tre anni.

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Quali sono i volti a cui pensi tornando indietro nel tempo? Quali le emozioni del piccolo Beto, quali le esperienze che lo hanno reso grande non solo anagraficamente?
Io sono nato a Horizontina, una piccola città nello stato di Rio grande do Sul. Nella mia vita ho sempre sognato a diventare un calciatore! Ho sempre giocato a futsal. A 17 anni ho avuto la possibilità di giocare in una squadra professionistica: facevo l'Under20 e lì al primo anno fui una delle rivelazioni del campionato. Poi, avendo già la cittadinanza italiana, il mio amico Kiko Bernardi (conosciuto da tutti qui in Italia) tramite un procuratore mi portò in Italia al Torrino del grande presidente Cataldo Colosimo.

Come ti sei trovato in Italia?
Quell'anno è stato bellissimo! Ho trovato tanti amici ed ho vissuto anche qualche imprevisto: il primo giorno in Italia ho subìto un furto, ma tutti mi hanno aiutato. Penso che, per esser stata la mia prima esperienza in Italia, esser venuto in una società come il Torrino sia stata la scelta giusta. Resta il rammarico di non essere salito in serie A, avendo perso la finale play-out contro il Terni.

Dopo il Torrino?
Poi sono stato venduto al Napoli, dove ho fatto la serie A per la prima volta. Quell'anno abbiamo fatto i play-off, esperienza importantissima per la mia crescita, dato che ero ancora in Under 21. Poi ho girato per squadre di serie B, finché arrivo a Albano e trovo mister Ranieri, una grande persona prima che un grande allenatore. Con lui sono rimasto per tre anni tra Albano e Aloha, crescendo molto dal punto di vista tattico ed accumulando tanta esperienza dentro al campo di gioco. Di lì un salto in Sardegna. Ho vinto la finale play-off contro il Paolo Agus e così ho ricevuto la chiamata di Francesco Agus (DG del Città di Sestu, ndr). Le sue parole sul mio conto mi colpirono molto: mi disse che aveva su di me delle buone sensazioni. Parole che gli ho ricordato riferendogliele quando siamo saliti in serie A, appena terminata la partita contro l'Orte. Quindi l'ascesa col Città di Sestu. Qui a Sestu ho fatto un percorso vincente con tanto sudore e sacrificio. Abbiamo creato un grande gruppo di persone meravigliose. Siamo in buona parte le stesse persone della serie B: questo ci fa molto onore. Essere arrivato di nuovo in serie A è una grande carica, ed è una grande emozione potermi confrontare con giocatori di spessore. Il mio principale obbiettivo è rimanere in questa categoria facendo sempre il massimo. Anche se ho 29 anni penso che non si finisca mai di imparare e di crescere e, come tutta la squadra, cerco di fare tesoro di tutto quello che trovo. Io ho una frase che mi accompagna sempre: "il lavoro paga", così ogni giorno che mi alzo del letto per allenarmi penso che quello sia un buon giorno per migliorare.

Data la frase, sono curiosa di conoscere il tuo libro del cuore, quello da cui hai tratto un insegnamento indelebile.
Il mio libro preferito è la biografia di Bernardinho, l'allenatore della nazionale di pallavolo del Brasile. Lui è un grande leader, uno che cura ogni particolare, un vero campione!

Ormai vivi stabilmente a Sestu: un aneddoto calcistico che ti riguarda?
Penso che una bella storia che mi riguarda in prima persona sia legata all'atmosfera e alla fortuna che il palazzetto di Sestu mi porta. Ho vinto la finale play-off di serie B - contro l'allora Paolo Agus - ai rigori dopo una parità memorabile. Poi nella finale play-off di A2, quando già vestivo la maglia del Futsal Città di Sestu, in un allenamento, dopo la sconfitta contro l'Orte per 3-1, qualcuno ha detto che il palazzetto non portava bene per le finali. Io ho riso e ho detto che invece a me portava bene e che la promozione sarebbe arrivata lì! E così fu: abbiamo fatto una partita incredibile in un palazzetto gremito! Una cosa pazzesca, un'emozione enorme: a partita finita chiamai i miei familiari dentro al campo ringraziandoli per l'appoggio che mi hanno sempre mostrato.

Infine parlami del tuo legame con Heder Rufine. Lui, oltre a ritenerti un amico, ti ha definito: "Un pivot di molta grinta, che difende tanto: uno dei nostri migliori!”.
Heder l'ho onosciuto quando sono arrivato al Città di Sestu. Se lui mi ha definito “pivot di molta grinta, che difende tanto”, io lo definirei “un centrale molto tecnico e molto intelligente”. Con lui ho legato tanto: lo ammiro per la sua correttezza e per il modo di vivere le cose (lui non si arrabbia quasi mai haha). Ormai lui è per me un compagno di grandi battaglie, ci confrontiamo spesso sempre provando a migliorare.

Grazie Beto.
Grazie a te.

Diomira Gattafoni



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